Fiera di S. Andrea 2014

Domenica 23, sabato 29 e domenica 30 novembre 2014

Ottimo inizio per la mostra allestita nell’ambito della fiera di Portogruaro. Nonostante l’inedita location molti sono stati i visitatori che, in alcuni momenti, potevano solo guardare dalla vetrina.
Ottimo esordio per il plastico dei ragazzi, affidabile per tutta la giornata.

L’esposizione è proseguita anche nel fine settimana del 29/30 novembre, dove si è registrato un gran numero di visitatori, grazie anche ai moltissimi stand che affollavano le vie del centro.

Nello spazio espositivo hanno trovato posto il plastico a doppio scartamento H0/H0e, il plastico dei ragazzi, uno dei plastici in scala N ed una vetrina, dove erano esposti due gruppi di modelli: quelli che rappresentavano i rotabili citati nel testo su ferrovia e guerra, in memoria del centenario della Prima Guerra Mondiale, e quelli raffigurati nelle foto di alcuni mesi del calendario 2015 del Fermodel Club.
Il testo sull’impiego della ferrovia per scopi bellici sarà messo a disposizione sul sito, mentre il calendario è come sempre disponibile a chi ne faccia richiesta, lasciando un piccolo contributo all’associazione.

Fiera di S. Andrea 2014 a Portogruaro

Appuntamento triplicato, quest’anno, in occasione della Fiera di S.Andrea a Portogruaro. Non solo domenica 23 novembre 2014, giornata delle Associazioni e dei Bambini, ma anche sabato 29 e domenica 30, le due giornate clou della manifestazione.

L’esposizione si terrà in un locale in via Martiri della Libertà 162, poco distante dalla torre di S. Giovanni.

Il capostazione di Pramaggiore

Questa è una storia vera, ma vorrei narrarla come se fosse un racconto di fantasia.
I personaggi che vi saranno rappresentati non reciteranno una parte, ma saranno loro stessi. Cambieranno solo i nomi: alcuni perché non li conosco, altri perché, beh, perché sta bene così.
Io me la immagino in giornate di maggio, questa storia, nei primi anni ’50, in Veneto.
Di maggio perché la temperatura è ormai quasi calda, i prati e i campi sono pieni di fiori, si pensa più all’estate che all’inverno passato e le scuole stanno per finire. E in questo mondo paradisiaco c’è una persona che è inquieta, anzi arrabbiata: ha una divisa di ferroviere e un cappello rosso. Passeggia nervosamente su e giù lungo il marciapiede della stazione di Pramaggiore della quale è capostazione in attesa del treno della mattina da Portogruaro.
Fa così da alcuni giorni e quando il treno arriva si alza sulla punta dei piedi e guarda dentro i finestrini in cerca di una persona, di uno studente, ma non ci riesce perché gli amici -trattenendo non perfettamente le risate- lo nascondono sotto le loro giacche.
Cerco quindi di piazzare i personaggi della storia al loro posto, ma per farlo mi serve uno spazio: avete mai provato a costruire un plastico ferroviario o un diorama? Bene, per creare questo spazio, costruisco un plastico attorno a questa storia: il plastico della stazione di Pramaggiore. Sarà anch’esso ambientato negli anni ’50, perché adesso la stazione non esiste più; ovvero l’edificio esiste, ma è chiuso, e l’orario, da quando la linea Portogruaro-Treviso è stata riaperta nel 2000, non prevede più la fermata a Pramaggiore.
Ecco: io vorrei proprio fare così. Partendo dai listelli di legno che, incastrati tra di loro, inchiodati, avvitati e incollati compongono la base del nostro plastico. E questa è la pianura veneta, più o meno a dieci chilometri da Portogruaro, in direzione di Treviso: una zona piatta, più che pianeggiante, solcata da numerosi fiumi e corsi d’acqua che nascono qualche decina di chilometri più in su lungo la fascia delle risorgive e scendono pigramente verso il mare, non molto distante. C’è una bella poesia di Biagio Marin che li descrive: “Son un rio de pianura/che score lento/e sonolento/in meso a la verdura/…”.
E i fiumi nel plastico li facciamo come piccoli avallamenti nel piano che stiamo stendendo alcuni centimetri sopra l’intelaiatura. Per il momento la superficie ha i colori irregolari del cartone, della carta, dei fogli metallici e plastici che disegnano il nostro piccolo mondo e per decorarla ci pensiamo in seguito.
Su questo mondo ci stendiamo il binario della ferrovia che da Portogruaro porta a Treviso, binario unico perché la linea non è molto importante, ma all’epoca della nostra storia ancora funzionante pur tra le minaccie di chiusura che si fanno sempre più pressanti fino all’insperata occasione dell’alluvione del ’66, che si porta via il ponte sul Piave (quello stradale, non quello ferroviario, però) e con esso addio linea Portogruaro-Treviso: il ponte ferroviario diventa fondamentale, per far passare il traffico automobilistico (no, non lavoro di fantasia, è successo proprio così!)
Un piccolo terrapieno di sughero può bastare per far correre il treno di poco sopra i campi di frumento, biava (in italiano fa mais) e soprattuto tanti vigneti, appena discosti dalla ferrovia, ma tanti. Siamo d’altronde a Pramaggiore, che con Lison -sono solo pochi chilometri di strada- costituisce uno dei luoghi veneti dove si produce più vino: ci sono delle vie con più cantine che numeri civici e tutte le case contadine hanno una piccola vigna per il consumo domestico. Anche adesso che le campagne sono praticamente disabitate se ne vede il segno. Nelle case -solitarie in mezzo ai campi e abbandonate- sui muri bianchi di calce le ombre in negativo delle viti risaltano col color blu-viola del solfato, dato in abbondanza pompandolo con la pompa a mano dalle taniche portate sulla schiena e spruzzandolo su tutto, tranne forse sugli animali.
E sul sughero che sostiene il binario piccoli sassolini minuscoli che fanno la massicciata e finalmente sulla massicciata il binario che arriva diritto con un lunghissimo rettilineo da Portogruaro: linea diritta, di pianura. La prima curva si vede poco dopo Pramaggiore -serve per prendere la mira e scavalcare il Livenza senza sbagliarsi- e poi altre curve per attraversare Motta di Livenza e Oderzo, fino all’ultima subito dopo il Piave. E di lì via diritti fino a Treviso.
Bisogna adesso decorare rapidamente i campi perché sono già le sei e il nostro studente si sta svegliando, come i suoi amici, per prepararsi e andare in stazione. Non so perché avessero scelto di fargli fare le scuole superiori a Motta di Livenza; forse c’erano dei corsi particolari, non presenti a Portogruaro. In ogni caso una naturale intelligenza, il tempo da passare in viaggio e la bella stagione, da alcuni giorni lo spingevano a cercare qualcosa per movimentare il viaggio. Bisogna capirlo: è maggio, fa caldo e si pensa alle vacanze. Il viaggio in treno è più noioso del solito e allora ci si guarda attorno e si notano piccoli particolari che fanno venire un’idea.
Nel frattempo sul plastico stiamo mettendo il frumento nei campi, non maturo, ancora di un verde tenero. Lo faccio con delle setole incollate a mazzetti sulla superficie del plastico, tagliate corte e colorate. Poi i campi ancora soltanto arati dove a breve si pianterà il mais: la superficie può essere una pasta gessosa, cartapesta o altro materiale, purché non si ritiri troppo seccandosi (altrimenti fa delle brutte crepe) e che lo si possa rigare per simulare i solchi dell’aratura. Infine la pittura: marrone chiaro quasi ocra, se il terreno è argilloso, più scuro altrimenti; per dare più realismo il colore può essere irregolare, a chiazze, come si vede in certi campi.
Più in là aggiungo dei filari di vite. Posso farli in molti modi, devo solo tener presente che in questa stagione dell’anno le foglie sono ancora piccole e i grappoli sono appena spuntati, quasi invisibili in scala 1/87. In testa ad ogni filare un palo inclinato verso l’esterno per tendere i fili che servono da sostegno alle viti, poi un palo più sottile ogni 3 o 4 centimetri circa per simulare la distanza di 3-4 metri che al vero hanno le piante di vite tra di loro. Sui pali le viti, che poi si attorcigliano sui fili che si srotolano lungo tutto il filare, generalmente due: uno a circa un metro dal suolo, l’altro a circa un metro e mezzo (nel nostro modello approssimiamo a 1 e 2 centimetri rispettivamente): se messi più bassi o più alti, poi è un problema vendemmiare!
Intanto il nostro studente si è lavato, vestito, ha fatto colazione ed è uscito per andare verso il treno accelerato che parte alle 7:07 dal quarto binario della stazione di Portogruaro e lo lascerà alle 7:27 a Motta di Livenza.
Il convoglio è già pronto: in testa ci metto una locomotiva del gruppo 625, adatta a treni locali su linee di pianura, e le attacco dietro tre carrozze del tipo “centoporte”, in livrea castano e isabella. Si tratta di carrozze della serie 36.000 costruite nel 1929 su telai preesistenti, una di seconda classe, perché la prima su questo treno non ha senso, due di terza che di lì a poco verrà abolita cambiando il 3 in un 2. Se la scena si fosse svolta solo pochi anni dopo avrei potuto usare due automotrici accoppiate del gruppo Aln556: sarebbero stati gli anni in cui la trazione diesel iniziava a spodestare quella a vapore nelle linee secondarie.
La stazione di Portogruaro è fuori dal nostro plastico, che altrimenti sarebbe lungo più di 100 metri, ma dobbiamo immaginarla con la fantasia, altrimenti il treno non potrebbe arrivare.
Il treno sta per partire e quindi devo mettere nel plastico la stazione di Pramaggiore, solo che non è proprio Pramaggiore. Sì, si chiama così, ma si trova a qualche chilometro dal paese, a Blessaglia. No, per l’esattezza nemmeno a Blessaglia, ma in una località di poche case lì vicino: una piccola stazione isolata in mezzo alla campagna con una decina di case che le stanno attorno.
Il fabbricato, piccolo, è nello stile classico italiano, squadrato, con una fascia a rilievo che divide graficamente i due piani e le finestre similmente evidenziate da una fascia a rilievo. E’ un edificio che si può benissimo autocostruire in scala partendo dal materiale grezzo: legno sottile o cartoncino, tagliato a misura e con le aperture per le porte e le finestre.
Disegno anche la stradina che porta alla stazione, la quale si distacca dalla strada provinciale che arriva da Pramaggiore e che vicino alla ferrovia compie due curve strette prima di scavalcarla con un passaggio a livello. Il passaggio a livello con barriere e la strada li posso fare con materiale che si trova in commercio.
Intanto il treno è partito da Portogruare, ma ormai non mi preoccupo perché il mio plastico è quasi completo. Ho messo un paio di case attorno alla stazione (meglio costruirsele, queste, perché per ora non ci sono produttori che fanno in scala H0 case italiane anni ’50) e la chiesetta lungo la provinciale -autocostruita anch’essa-. Adesso metto i personaggi: un paio di automobili sulla strada (non di più perché il boom economico è appena agli inizi e l’auto è ancora un lusso), mi chiedo se metterci anche un carretto trainato da un cavallo o un asino e preferisco pensarci con calma. Un paio di ciclisti in strada ci stanno bene, come un paio di donne che escono dalla chiesa, al termine della messa mattutina, e qualcuno che sta sistemando l’orto dietro la casa. In una casa un pollaio, in un’altra i panni stesi ad asciugare.
Mentre il treno lambisce la frazione di Summaga -che non aveva e non ha nemmeno adesso una fermata-, mi occupo del piazzale della stazione e lo recinto con la classica palizzata in cemento col marchio FS, due segnali ad ala -uno per direzione- per indicare la partenza dei treni e un piccolo edificio per i gabinetti. Ci ripenso e piazzo un paio di aiole di geranei e altri fiori perché quelli sono anni in cui il personale di stazione ci teneva a tenere in ordine la propria stazione e a renderla bella.
Il treno sta arrivando ed è tutto pronto: il convoglio passa il segnale di protezione che segnala che il prossimo segnale è rosso, mentre il nostro studente chiacchiera con i suoi amici, probabilmente della scuola. Si sente lo stridio dei freni e il macchinista finalmente arresta la locomotiva nella stazione di Pramaggiore, poco prima del segnale di partenza.
E’ una sosta breve, normalmente un minuto come fanno regolarmente i pochi treni che fermano qui, 5 coppie in tutto secondo il quadro 161 dell’orario del 1950; e i viaggiatori saliti -non molti- li metto direttamente come personaggi nelle carrozze; il capostazione ha già messo al verde il segnale, ha dato ordine di chiudere il passaggio a livello che si trova subito dopo la stazione (i comandi, manovrati con lunghi fili metallici, si attivano dalla stazione) ed è sul marciapiede pronto per fischiare la partenza: lo metto lì, sul marciapiede, impettito e pronto quand’ecco che il nostro studente -lo metto in quella posa nel mio plastico- si sporge dal finestrino che si trova proprio di fronte al capostazione che ha appena fischiato la partenza e gli chiede (il dialogo è in veneto):

-“Scusi è lei il capostazione di Pramaggiore”?
-“Sì!”, risponde prontamente quello.

E proprio mentre il treno si sta mettendo in movimento arriva, tagliente, l’aggiunta dello studente:

-“Bella carriera che ha fatto!”

Il fischio della locomotiva copre le parole del capostazione.

Ed è per questo che in quel tiepido fine maggio il nostro studente si fa nascondere dagli amici quando il treno passa per la stazione di Pramaggiore e perché il capostazione si mette sulle punte dei piedi per guardare i visi dei viaggiatori del treno della mattina da Portogruaro.

Ma tanto manca poco alla fine della scuola e l’anno prossimo, chissa!

Quinto meeting annuale Club fermodellistici della Mitteleuropa

Si è svolto domenica 1 giugno 2014 il quinto incontro dei club fermodellistici della Mitteleuropa, organizzato a Zagabria dal KZMZ (www.kzmz.hr) nel suo 45° anno di attività.

Presenti delegazioni dal DLZ Ljubljana, MEK Klagenfurt, SAT Udine, Ferclub Trieste e naturalmente Fermodel Club Portogruaro.

Come da programma, il raduno è iniziato presso il Museo della Tecnica (www.tehnicki-muzej.hr) con la visita guidata di alcune sezioni. Dopo il trasferimento in stazione centrale (Zagreb Glavni Kolodvor), ingresso alla mostra di modellismo ferroviario allestita dal KZMZ nei locali che si affacciano direttamente al marciapiedi del primo binario, dal quale si possono osservare le manovre di composizione dei treni in partenza. All’interno, plastici in varie scale, dall’N all’H0, e modelli statici di treni e tram. Per finire, dopo una breve passeggiata per la città, visita all’impianto Backo, un circuito con un enorme sviluppo di binari su più livelli, completamente comandato in digitale.

Cartoline: 3 immagini dello scartamento ridotto

Continuando sul tema dello scartamento ridotto, dopo il calendario 2014 con immagini di ferrovie austriache, sono ora disponibili 3 cartoline. Le immagini raffigurano convogli su una fermata della Stainzerbahn, sul viadotto Grub della Feistritztalbahn ed un’immagine d’epoca delle Ferrovie Calabro Lucane (foto archivio FMC).

Il set di 3 cartoline può essere richiesto ai recapiti dell’associazione (info@fermodelclub.it) ed è sufficiente un contributo di minimo 2,00 euro più eventuali spese di spedizione.

Treno nelle Dolomiti 2014

13 aprile 2014

Per il quarto anno consecutivo, il Fermodel Club ha partecipato, con grande soddisfazione, alla rassegna “Il Treno nelle Dolomiti“, svolta a Longarone il 13 aprile 2014 presso la Fiera.

La manifestazione, alla sua 6° edizione, organizzata dall’AICS di Belluno, comprende una mostra fotografica di storia ferroviaria, borsa scambio, vapore vivo e soprattutto una ampia esposizione di modellismo ferroviario con moltissimi plastici, quest’anno in numero maggiore rispetto agli anni precedenti.

Fermodel Club ha esposto il plastico modulare, uno tra i più grandi per estensione di binari, comprensivo dei nuovi moduli della stazione, sebbene in costruzione, che però ha destato molta curiosità tra i visitatori e gli addetti.

Una bella giornata nell’ambito di una manifestazione sempre più in crescita.

Visita soci KZMZ

Una delegazione del Club di Zagabria (KZMZ – www.kzmz.hr ) ha fatto visita alla nostra sede. Un’occasione per incontrare i soci di uno del gruppi conosciuti agli incontri dei club della Mitteleuropa, e mostrare i nostri plastici, il museo, la biblioteca ed i progetti.

Some members of KZMZ from Zagreb (www.kzmz.hr) came to visit our headquarter. An opportunity to meet the partners of one of the clubs knew at meetings of Mitteleuropean railway enthusiasts, and show them our layouts, museum, library and projects.

Il canto della Locomotiva

“E risuona il mio barbarico Yawp sopra i tetti del mondo”, disse la locomotiva.
Inutile cercare: questo verso non si trova in “Ad una locomotiva d’inverno” di Walt Whitman. Però è come se tutti i versi del poema puntino verso questa conclusione, a questo verso che fa parte di una più celebre poesia di Whitman (“Il canto di me stesso”).
La locomotiva è la forza prorompente della seconda metà dell’800: non c’è paragone con fabbriche, acciaierie, battelli a vapore e altre manifestazioni della rivoluzione industriale. La locomotiva è l’immagine di tutto questo, la rappresentante del progresso tecnologico, l’espressione della potenza -intesa proprio, semplificando un po’ i termini, come energia per unità di tempo- prodotta in quantità tali come mai prima nella storia; ma, soprattutto, sotto il controllo diretto dell’uomo, rompendo il legame con i ritmi stagionali e l’imprevedibilità della natura che fino ad allora erano stati un limite invalicabile per le attività umane.
E’ vedendo una locomotiva in corsa che chiunque si può entusiasmare, non certo guardando una fabbrica o un’acciaieria che all’esterno producono solo fumi e odori. E’ seguendo una locomotiva in testa al suo treno che si può sognare, mentre star ad osservare i movimenti ripetitivi dei torni, delle presse e di tutte le altre macchine che si trovano in una fabbrica è più facile che produca noia. La locomotiva per il treno, il treno per la ferrovia, la ferrovia per il progresso: queste le sineddochi che collegano la locomotiva al progresso.
E all’epoca sono chiaramente comprese ed utilizzate, sia in positivo -Whitman e Carducci- che in negativo -Dickinson-.
La locomotiva insomma non poteva sfuggire a Whitman, questo incontenibile e vulcanico cantore di quanto di positivo c’è nell’umanità ed in ogni singola persona; solo che quando scrive questa poesia si pone un problema: come presentare la locomotiva e come elogiarla senza farne un freddo monumento? Non è persona per le soluzioni facili, venti strofe in terzine o alessandrini con rime banali ed è fatta, visto che fu lui a dire “Ai giovani letterati voglio dare tre bei consigli: Primo, non scrivete poesia; secondo idem; terzo idem.”. E mantiene la parola data: scrive versi liberi con termini arcaici, causando un’apparente contraddizione -lui che delle contraddizioni non aveva paura- che dà alle parole un’insolita forza, si rivolge alla locomotiva dandole del tu -thee come soggetto, thy come possessivo- perché questa è sì una lode ed anche un’invocazione, ma è pure un confronto da pari a pari: io e te. Emily Dickinson fa tutta un’altra scelta, rifugiandosi in un impersonale e neutro “it” che mantiene le distanze e consente di gettare un occhio critico sul progresso.
La descrizione della locomotiva offerta al lettore è un altro colpo di genio: inizia solo alla terza strofa e parlando delle caratteristiche acustiche (il ritmo pari, il battito convulsivo); solo alla quarta riga si arriva alla descrizione visiva con una scomposizione dei volumi che se non è cubista, beh, poco ci manca.
Dalla presentazione delle singole parti Whitman inizia a costruire la locomotiva, perché tutto sommato parla di qualcosa che ha ancora il sapore del nuovo, sul quale si possono fare molte scelte estetiche, senza dover essere provocativi.
Avesse scritto il suo poema settanta anni dopo, probabilmente non sarebbe stato più vero e le sue scelte sarebbero state diverse. O, forse, lo stesso poema scritto settant’anni dopo avrebbe avuto un significato profondamente diverso -direbbe Borges-.
Cerchiamo di capire cosa sarebbe accaduto: più o meno settant’anni dopo “To a locomotive in winter”, Pierre Schaeffer pubblica “Étude aux chemins de fer”, brano sonoro che segna la nascita della musica concreta, assemblando registrazioni sonore fatte in una stazione. Tutti, ascoltando questo brano, dicono istintivamente: “è un treno”, “è una locomotiva”, “è il fischio del capostazone”. E cadono nella provocazione di Schaeffer che lavora con immagini sonore talmente comuni che la loro identificazione con un luogo o con un oggetto è così veloce da non lasciare il tempo di sentirli come suoni, come invece avrebbe fatto un contemporaneo di Bach che nulla sapeva di treni, locomotive, stazioni. Questo signore borghese o nobile con parrucca si sarebbe probabilmente alzato dalla sedia e, disgustato, sarebbe uscito dalla sala all’udire la composizione di Schaeffer, ma non avrebbe mai pensato ad un treno! Fosse stato uno del popolo sarebbe scappato a gambe levate in cerca di un esorcista perché c’è uno che ha una scatola con un diavolo (uno? decine e decine di diavoli!) dentro che fa rumori terrificanti. Però nemmeno lui avrebbe pensato ad una locomotiva.
La prospettiva di Schaeffer è l’opposto di quella di Whitman: Schaeffer ci fa vedere una fotografia di una locomotiva (un quadro per l’uomo settecentesco, ugualmente incomprensibile quanto la registrazione) e ci chiede di dimenticare l’oggetto completo, cercando di soffermarsi sui suoi elementi costitutivi: colori, forme, luci e poi ruote, bielle, caldaia, fino alla ricostruzione dell’immagine completa. Vera scatola di montaggio con tutte le parti e libretto di istruzioni. Whitman invece ci sottopone dei colori, delle forme e degli oggetti elementari che noi comporremo come locomotiva: lui nel testo non lo fa, tanto che la parola “locomotiva” non appare nel poema, se non nel suo titolo. Non ci da le istruzioni per il montaggio perché parla a persone per le quali la ferrovia è certamente un elemento di novità, ma è già ben nota e facilmente identificabile  dalle sue componenti, senza passare per provocazioni novecentesche.
Così facendo elenca lamiere, longheroni, bielle, lampade, pennacchi di vapore e nuvole di fumo, camino, balestre, valvole, ruote -descritte dallo sfarfallio dei raggi in rotazione- e infine le carrozze: la locomotiva c’è tutta e facilmente riconoscibile anche per noi ormai troppo abituati a vederla nella sua interezza.
L’ambientazione è invernale, anche se il testo dedica poche parole alla stagione e al clima, perché è nella stagione più difficile per l’uomo e gli animali -solo pochi anni prima l’inverno bloccava i trasporti e isolava molte località- che maggiormente risaltano la potenza e l’invincibilità della locomotiva che probabilmente non a caso entra in scena al tramonto della giornata d’inverno.
Ed ora Whitman fa qualcosa in più, qualcosa di inatteso e spettacolare: ha invocato e descritto la locomotiva, ne ha narrato le sue qualità eroiche e ora la chiama a sostituirsi a lui nella narrazione, a servire lei la musa come poetessa.
La locomotiva non è più un oggetto esterno da lodare e glorificare -nelle intenzioni di Whitman probabilmente non lo è mai stato-, ma è un soggetto autonomo, capace di espressività propria, che può stare su un piano di parità con l’uomo.
E la locomotiva gli parla e gli canta il suo poema; è Whitman che ce lo dice, anche se non ci riferisce le parole, ma ci spiega come lo fa: di giorno con la sua campana (siamo negli USA e le locomotive devono essere dotate di una campana) e con il suo fischio, con i suoi fanali di notte. E il canto della locomotiva è di una libertà estrema, non sottoposto ad alcuna legge (lawless, lo definisce Whitman), potente e coraggioso, ma questo da una prospettiva umana perché per lei, per la locomotiva, tutto corrisponde ad una sua legge completa e vincolante.
E un Whitman molto riflessivo quello che scrive questi versi, perché capisce dal poema che gli sta cantando la locomotiva che quanto c’è di nuovo arriva senza che lo si possa arrestare e scardina l’ordine esistente, ma non per questo lo si può definire privo di legge: il nuovo si presenta con una sua legge, ma siamo noi che non riusciamo ancora a vederla. Whitman sembra volerci dire che, pur con tutta la sua carica positiva, il progresso non deve essere accettato acriticamente, ma ascoltato, capito e valutato nelle sue possibilità come nei suoi rischi, dato “che ci porta avanti quasi tutti quanti” e che c’è chi “è sottovento e non vuol sentir l’odore di questo motore”, come canterà quasi un secolo dopo Fabrizio De André, più vicino come sensibilità ad Emily Dickinson.
Questa riflessione non impedisce però a Whitman di accettare quanto gli dice la locomotiva e di affrontare con convinzione la sfida che lei gli pone davanti. Lei così convincente con il suo fischio lanciato nel cielo libero, felice e forte.
Lei alla quale si adattano questi altri bellissimi versi sempre di Whitman “…che vi è di nuovo in tutto questo,/oh me, oh vita !/Risposta/Che tu sei qui,…”

Walt Whitman (1819–1892). Leaves of Grass.

To a Locomotive in Winter


THEE for my recitative!     
Thee in the driving storm, even as now—the snow—the winter-day declining;     
Thee in thy panoply, thy measured dual throbbing, and thy beat convulsive;     
Thy black cylindric body, golden brass, and silvery steel;     
Thy ponderous side-bars, parallel and connecting rods, gyrating, shuttling at thy sides;
Thy metrical, now swelling pant and roar—now tapering in the distance;     
Thy great protruding head-light, fix’d in front;     
Thy long, pale, floating vapor-pennants, tinged with delicate purple;     
The dense and murky clouds out-belching from thy smoke-stack;     
Thy knitted frame—thy springs and valves—the tremulous twinkle of thy wheels;
Thy train of cars behind, obedient, merrily-following,     
Through gale or calm, now swift, now slack, yet steadily careering:     
Type of the modern! emblem of motion and power! pulse of the continent!     
For once, come serve the Muse, and merge in verse, even as here I see thee,     
With storm, and buffeting gusts of wind, and falling snow;
By day, thy warning, ringing bell to sound its notes,     
By night, thy silent signal lamps to swing.     
 
Fierce-throated beauty!     
Roll through my chant, with all thy lawless music! thy swinging lamps at night;     
Thy piercing, madly-whistled laughter! thy echoes, rumbling like an earthquake, rousing all!
Law of thyself complete, thine own track firmly holding;     
(No sweetness debonair of tearful harp or glib piano thine,)     
Thy trills of shrieks by rocks and hills return’d,     
Launch’d o’er the prairies wide—across the lakes,     
To the free skies, unpent, and glad, and strong.

A una locomotiva d’inverno

A TE per il mio recitato!
A te nella tempesta furiosa, anche adesso-il bianco spesso, della neve-l’invernale-giorno al declino;
A te nella tua veste d’acciao, il tuo misurato battito duale, e il tuo ritmo convulsivo;
Il tuo nero corpo cilindrico, dorato bronzo, e argentato acciaio;
Le tue potenti barre laterali, bielle parallele e unificanti, rotanti, oscillanti ai tuoi fianchi;
Il tuo metrico, ora aumentante respiro e ruggito- ora sfuggente nella distanza;
La tua grande protundente luce principale, là sulla fronte;
I tuo lunghi, pallidi, fluttuanti pennacchi di vapore, tinti di delicato viola;
Le dense e oscure nuvole eruttate dalla tua ciminiera;
Il tuo ricamato telaio-le tue sospensioni e valvole-lo sfarfallante luccichio delle tue ruote;
Il tuo treno di carrozze dietro, obbediente, allegramente-seguente;
Attraverso la tormenta o calma di vento, ora veloce, ora lenta, comunque costantemente di gran carriera;     
Prototipo del moderno! emblema di movimento e potenza! pulsazione del continente!
Per una volta, vieni e sii a servizio della Musa, e traduci in versi, proprio mentre Io qui Ti vedo;
Con tempesta, e picchiettanti soffi di vento, e neve cadente;
Di giorno, il tuo avviso, campana sonante per suonare le proprie note,
Di notte, i tuoi silenziosi segnali luminosi da oscillare.
 
Bellezza dal collo fiero!
Scorri attraverso il mio campo, con tutta la tua sfrenata musica! le tue luci oscillanti di notte;
Il tuo perforante, pazzamente-fischiato riso! le tue eco, rombanti come un terremoto, eccitando il tutto!
Completa legge di Te stessa, il Tuo proprio binario saldamente trattenuto;
(Nessuna dolcezza cortese di arpa lacrimosa o di delicato pianoforte la tua,)
I tuoi trilli di strilli da rocce e colline rimbalzati,
Scagliati oltre le praterie e attraverso i laghi,     
Verso i tuoi cieli liberi, non repressi, e felici, e forti.