Giorgio o Evaristo. Mettetevi comodi, perché la trama si fa interessante e il viaggio spazia, tra la metafisica e il surrealismo, l’antica Grecia e l’ingegneria ferroviaria. Roma, 1938, olio su tela, “L’enigma del ritorno”, collezione privata. Eppure…non l’opera mi suggella a tentazione, ma quel piccolo trenino nero a vapore che, a destra di chi guarda la tela, sbuffa incurante dell’arte e del soggetto.
Il cesello critico mi porta a leggere e scomodare ipotesi, più o meno tendenziose, che si esprimono in spiegazioni interpretative, del perché e del percome, il pittore ha reso, affettuosamente trascendenti, determinati elementi della sua iconografia. In questo caso, tutto è, forse,riconducibile ad una affettività universale: il trenino nero sbuffante è il simbolo commemorativo del suo papà, immortalato dal pittore, in diverse tele! A noi, viaggiatori in carrozza, piace pensare anche alla metafora del nostro inconfutabile destino, di passeggeri occasionali sulle rotaie della vita. Sento quel trenino nero, l’elemento pulsante di quelle piazze silenziose e suggestive, dove il tempo non è tempo, dove s’intrecciano futuro e passato, guardati “poieticamente” al presente.
Giorgio De Chirico, era figlio dell’ingegnere ferroviario, non meno illustre, Evaristo De Chirico e fu proprio lui ad insegnargli i primi passi con la matita. Giorgio amava e ammirava molto il padre e il dolore per la perdita si accompagnerà alla sua poesia pittorica, proprio nella parola chiave di tutta la poietica metafisica: silenzio.
Di fronte all’arte, all’amore, all’intensità di una presenza, alla vita e alla morte, all’essere e al non essere, necessita un pieno di silenzio.
Grecia, 1888, a Volos, cittadina affacciata sul mar Egeo, tra Atene e Salonicco, Gemma Cervetto partorisce un genio del pennello, mentre, l’amato siculo marito completa i nove ponti ferroviari, perfetti e surrealistici nella geografia di una regione che accoccolò la cultura classica, di tutta la nostra prosopopea umanistica. I miti, gli dei e i demoni, sono chiamati in livrea, per un futuro ferroviario perfetto, nell’impegno, nella capacità e nell’arte e, i costruttori, con una suggestiva linea a scartamento nella regione del monte Pelion, terra dei Centauri, hanno garantito un perfetto progetto di integrazione, tra linea ferroviaria e ambiente. Il pensiero metafisico del pittore, non poteva nascere tra le chiuse di una piatta campagna, o attraverso un’accidentale traversata montuosa: occorreva la spinta inconscia di una terra culla della classicità e, De Chirico, Giorgio, ha reso su tela un impulso creativo, cresciuto nella mitologia e nel surrealismo, tra i progetti ingegneristici e l’architettura. Benedetti Apollo e Diana e Minerva, i quali giurarono di non turbare la pace, necessaria, per l’ascesa dell’opera ferroviaria e la maturazione di un emblematico pittore che avrebbe risuscitato “…il sol corpo possente dei Greci antichi… dando onor a quegli antichi Iloti che furon illustri schiavi…” (Oliver Goldsmith). I progetti furono approvati dalla legge degli Efori, potenti magistrati e sostenuti dalle donne spartane, che, pare, in tutto il mondo, erano le uniche che sapevano reggere gli uomini a loro senno! Sinceramente questa citazione non ricordo dove l’ho letta, ma non me la sono inventata, in questo gioco metafisico! Essiri cogghipezzi… Che c’è, perdo tempo, signori De Chirico?
Oh, potessi consultare l’oracolo di Delfo! Il figlio o il padre? Chi era il metafisico? Entrambi, mi risponderebbe, ribelli ed allergici al pensiero annoiato, romantici e poeti, legati al filo che Giorgio guidava tra le nuvole, aiutato da papà, bambino maestro di volo dell’aquilone. “Mio padre era un uomo leale, buono, intelligente e anche coraggioso… un siciliano, galantuomo d’altri tempi.” Scriveva Giorgio ripensando al padre.
La bontà nei grandi, la forza del pensiero che respira di umiltà, per dare spessore alle opere che restano suggellate nella storia, la storia anche dei treni, delle ferrovie, insieme alle persone, miscugli chimicofisici!
Giorgio De Chirico incontrò Picasso e rimase folgorato davanti alla pittura dello spagnolo, scoprì un mondo “nuovo e sconosciuto”, ma se Pablo Picasso era fermo tra l’apparenza e il significato dell’oggetto, Giorgio De Chirico andò oltre nella ricerca surrealistica: aveva nel sangue un padre ingegnere, filosofo e pensatore dell’oggettivo, che nell’incarico dato dalla società greca, per la realizzazione di quella singolare ferrovia, gli aveva elargito eredità di bellezza e potenza, simboli del volere costruttivo umano. Ma anche la dignità di avere nel sangue la signorilità delle origini siciliane. “Ogni lignu avi u so fumo… ogni uomo ha il suo carattere”. L’opposto, il contrario, il diverso e l’identico… potenza e possibilità, ricavabile per astrazione… teoria metafisica per l’applicazione ingegneristica ottimale sul territorio, o per estrarre, nel non silenzio, il concetto di silenzio e imprimerlo sulla tela, forgiando un carattere.
Tra la mitologia dell’antica Grecia, correva come un treno, è il caso di dirlo, nella metafora dell’arte che interpreta la realtà, arricchendola di uno sguardo in più, quello dell’anima. Le rovine archeologiche, i cavalli e i cavalieri, le ninfe e i castelli, il mare e le piazze silenziose, sono ammorbiditi dalla visione surrealistica di De Chirico, portato al pensiero divergente da un padre che “dipingeva” tratte reali di ferrata, rispettando il decoro di un paesaggio greco, quasi mistico e, solo con uno spirito cavalleresco, poteva renderle pratiche al quotidiano, mantenendo il ferro e le rotaie leggere: filosofia pratica aristotelica!
Nella pittura di Giorgio De Chirico, prendono vita imponenti figure mitologiche, come “Perseo con il cavallo” o “Dafne sorridente”, ma anche “Le tre Grazie, Ninfe presso una sorgente”, in quell’eterno ritorno teorizzato da Nietzsche, deragliatore della noia pittorica del seicento, dove non si viaggiava e non si esplorava, fino ad arrivare al nuovo pensiero filosofico metafisico, che aprirà un binario a scartamento multiplo, per suggestioni surrealistiche.
L’ingegner Evaristo era il direttore generale delle ferrovie della Tessaglia e azionando una trazione a vapore, con lo stesso talento che, nel figlio Giorgio, diverrà arte rappresentativa, disegnava e realizzava la via del ferro per i locotender francesi Decauville e Weidknech, quelli belghe, prodotte da Tubize e Haine St Pierre, per arrivare ad una singolare strategia tedesca che inviava due trattori diesel, di costruzione Schoma, camuffati da locomotive a vapore!
Stupisce anche la storia della ferrovia che, qui, è intessuta di filosofia, dove venire a contatto con l’oggetto, treno, pensandolo, rende intellegibile l’oggetto del pensiero!
Fatto sta’ che a Volos, si concretizza un trittico a scartamento: 600 mm della ferrovia, 1.000 mm della Volos-Kalambaka, dal 1999 a scartamento normale, 1.435 mm della Volos-Larissa a scartamento metrico fino al 1960.
La linea ferroviaria diventò e resta, il filo di una collana di perle, dove i preziosi, sono le colorate località e le chiese bizantine, accoccolate lungo la costa dell’Egeo, collegate dai chiacchiericci di biella, sotto la protezione dell’Olimpo, di binario in binario, da simpatici e sbuffanti trenini a vapore. Piccola ferrovia nata tra la geometria e l’essenzialità dell’ingegner Evaristo,accompagnato silenziosamente dall’occhio attento dei miti classici, dove la Greciaoffriva la forza inconscia dei suoi Centauri, alle mani operose dei costruttori, preoccupati per le difficoltà orografiche del territorio, sul quale vincevano lentamente nell’avanzata, realizzando ponti e viadotti. Il moto produce la successione ed è causato dall’azione: il risultato non è “moto immobile”, ma corsa sui binari!
E il treno fumoso, oggi, sta per riprendere a risalire, faticosamente, viziando i turisti, tra curve e controcurve, fino alla “grotta del Centauro”, dove, altero e siculo, sta fiero il ponte metallico “De Chirico”. Qui è fiaba e surrealismo, in un panorama che si conquista nella fatica della locomotiva, ora cigolante sulla piattaforma, per girarsi e riprendere la discesa, un viaggio all’indietro nel tempo, nel tracciato ferroviario tra i più preziosi e metafisici al mondo, dove, partire o ripartire dalla stazione di Milies è, una carezza suggestiva dei paesaggi che, in terra di Grecia, ci parlano gemelli alla nostra Italia. Noi, con loro, tra i più metafisici di un tempo storico, questo, che sa di surrealismo, dove è necessario recuperare un po’ d’entusiasmo, da quegli antichi spartani che avevano riposto, con re Licurgo, l’amor di Patria in cima a tutte le altre passioni e nelle parole dell’ateniese Pittaco, il bisogno che le cariche sian poste in mano a uomini virtuosi. “Vidiri ‘a carta mala pigghiata”… e questa ve la traducete! Senza riferimento, metafisico, alcuno!