Rieccomi a parlare di ingegneria e volontà, guardando dai finestrini di un Cisalpino che mi porta sul ponte di Stalvedro, dove i viadotti si intrecciano in spettacolari paesaggi montani e il cuore sussulta, dimenticando per un attimo Alptransit e Trenitalia, per essere solo un puntino tra i massicci invalicabili delle Alpi Svizzere… e la storia prende forma, dove l’uomo non si arrende e la montagna si lascia “lavorare”.
Era il 1882, la Svizzera si affacciava alla Germania e all’Italia, perforando il San Gottardo e tra le mani dei minatori elvetici, si stringevano altre mani oltre l’invalicabile. L’Italia allora fu grande protagonista, con l’impegno economico della città di Genova, contribuendo alla realizzazione di quello che è chiamato il Corridoio 24, attraverso il quale il Mediterraneo si “allaccia” al freddo Mare del Nord. Perforare una montagna è caparbietà, è aprire frontiere di comunicazione e collegamenti internazionali che danno e daranno in modo sostanziale, nuova vita alla circolazione di uomini e merci nel Centroeuropa.
L’AlpTransit ha sfidato il Gottardo e segue con orgoglio i campi base per la realizzazione del traforo ferroviario più lungo del mondo, superando quello sottomarino di Seikan in Giappone, con i suoi 53 chilometri, e solleverà il traffico stradale per collegare Zurigo con Milano. Noi guardiamo a una volontà che si concretizzerà nel 2017 con 57 chilometri di tunnel, attraverso il quale sfrecceranno treni a 250 km/orari!
Un secolo fa si definì il sogno, ma oggi è tecnologia ferroviaria, architettura e ingegneria, di fronte alla quale sorride intimidito anche Mario Botta, l’illustre architetto svizzero e vorremmo essere tra quei minatori, essere uno di loro per sentire nell’anima il sapore della fatica, quella degli uomini e delle loro mani, quando affidano la vita agli ingegneri e al cielo. Le perforatrici sono violente con la montagna e tra Faldo e Sedrun si sono accanite con millenni di roccia, impegnando i geologi che hanno cercato e studiato il passato remoto del nostro pianeta, collaborando fianco a fianco con chi lavora verso il futuro prossimo, dando onore a quel primo piccone che, il 4 novembre 1999, diede il colpo iniziale al progetto. Da allora le “camere”di lavoro, come si chiamano in gergo i luoghi di perforazione e vita dei minatori, sono diventate 460. E pane e mutui e rette scolastiche e pianti per i morti, i feriti e le sconfitte in galleria. Già, anche questo è il volto del San Gottardo, silenzioso sotto il casco, gli occhiali, le cuffie e le tute giallo-arancio, come raggi di sole nelle tenebre del sottosuolo, ma anche pacche sulle spalle per ogni tratto in avanti verso la meta.
“Ci sono momenti di commozione quando vengono letti i nomi dei minatori caduti durante i lavori. Poi l’applauso scrosciante, quando il minatore Hubert Bär passa “dall’altra parte” con la statua di Santa Barbara.” Mi racconta Roberto che è stato alla conferenza tenuta a Genova, sull’impresa ingegneristica del momento.
Santa Barbara è la protettrice dei minatori. Altri minatori lo hanno seguito, sulle note della marcia trionfale dell’Aida, mostrando le foto dei colleghi scomparsi, poi hanno alzato le bandiere, simbolo dell’internazionalità delle squadre al lavoro: Svizzera, Austria, Italia, Germania… I minatori italiani esorcizzano il buio della galleria, intonando “Nel blu dipinto di blu”. Scavare una montagna può essere “volare nel cielo infinito dei sogni”, si legge da un appunto preso.
Mio nonno era anche minatore e con la sua anima di giornalista, voglio pensarlo là, matita e blocco a quadretti in mano, salutare alle 14, 17 minuti e 49 secondi, del 15 ottobre 2010, l’ultimo diaframma di roccia che cedeva alla perforatrice. Ed era un montanaro, uno vero, di quelli che hanno il coraggio di dire no o sì, senza barare la vita dura di chi scava sotto terra e nelle profondità dell’etica umana.
Sapete come hanno chiamato la fresa TBM che ha fatto “sbucare” i minatori al di là del Gottardo?
Sissi, come l’imperatrice ribelle che, con caparbia fermezza, ha scavato nei cuori del popolo austriaco ed è riuscita, con un’ amnistia a favore dell’Ungheria, a toglie lo stato di assedio e unire i due paesi! Nella storia ha lasciato solchi di compassione che hanno dato coraggio a imprese di unità ben più difficili da realizzare, in termini di convivenza tra popoli e ha “aperto” un tunnel di confronto e condivisione politica e sociale. Mi piace pensare che la scelta del nome abbia uno spessore di romantica storicità, in quei minatori che hanno pianto di emozione e di gioia, all’ultima fatica delle loro braccia e della loro perforatrice Sissi, per giungere dall’altra parte dell’imponente San Gottardo. Anche il medico responsabile, a capo del team di galleria, era una donna, Irene Kunz, la “dottoressa” che ha lavorato per la salute e la sicurezza dei minatori, insieme a geologi e ingegneri, piangendo con loro per chi è rimasto sotto la roccia, ammirando e credendo nella forza del lavoro di squadra, quando l’uomo non antepone il suo “io” per un “noi” che diventa volontà sull’improponibile e vittoria sull’imprevedibile. Nei primi anni della mia infanzia, quando vivevo con i nonni a Cave del Predil, spiavo i minatori, come strani esseri un po’ gnomi e un po’ folletti, mentre entravano e uscivano dalla terra, in quelle gallerie fredde e buie; il nonno mi diceva che andava con loro, a rendere in sicurezza i cancelli dell’inferno, per non permettere al diavolo di salire tra noi a vedere il cielo. E si pregava Santa Barbara. Allora, nella mia mente, i minatori erano eroi che lavoravano per la “mia” tranquillità di bambina con troppa fantasia e oggi, sono eroi di una modernità che sfida i sedimenti geologici del nostro sistema montuoso, al fine di rendere l’ economia e i nostri confini, sempre meno invalicabili. “Si dice che la Svizzera non sa guardare avanti, ma reagisce solo agli avvenimenti che la chiamano all’azione… AlpTransit realizza, invece, un progetto epocale per il futuro e dimostra che gli elvetici sanno adattare impegni e scelte ai cambiamenti economici sociali e, non da meno, ecologici…”, mi dice ancora Roberto. La Svizzera, con il traforo del San Gottardo, supera il suo isolamento e conferma la sua anima ad alta precisione, con la più grande impresa del 21° secolo!E l’Italia? Sottovoce vi confido che alcuni fondamentali lavori non sono neppure iniziati, però a Luino (VA), città confine con il Canton Ticino (CH), passerà un terzo del trasporto merci di AlpTransit verso Milano e ho visto cantieri di lavoro per l’adeguamento della ferrovia, raccordo importante del traffico merci, già nel passato. L’Italia non deve rischiare di ritardare l’impresa di collegamento internazionale e vorrei sperare che non saremo, come troppo spesso accade, in coda al fanalino, fermi in qualche binario morto, disattenti alla corsa di una Europa accanita e lanciata su chilometri di ferrata, per uscire dalla grande crisi economica di questo tempo. Che sarà dunque del traffico ferroviario in Italia? Saremo spettatori dell’esplosione, sapendo che Alptransit prevede, oltre al San Gottardo, la perforazione della galleria del Monte Ceneri, circa 15 chilometri, con il nodo di Camorino che collegherà Lugano a Bellinzona, città confine con il nostro Lago Maggiore e più in là, la galleria del Loetschberg, sulla direttrice del Sempione, incrementando il traffico passeggeri, ma soprattutto merci. Coraggio popolo di navigatori e naviganti, incrociamoci alla volontà politica del governo svizzero, per gli accordi sulle ripercussioni di tutto il sistema dei trasporti e accettiamo, per dato, che il futuro correrà su rotaie, non gomma! Il collegamento sarà basato sulla collaborazione e le capacità di risposta, delle linee che collegano la ferrovia transalpina svizzera alla rete di capacità… e velocità… italiana! Linee di collegamento che dovranno essere potenziate e riorganizzate da Trenitalia per decongestionare il nodo ferroviario milanese e così giù giù, fino alle direttrici Milano, Torino e Bologna , poi Verona e chissà per quali futuri altri incroci distazione, qui, in quel Veneto attento e preoccupato, per l’alta velocità che, forse, cambierà per sempre la geografia dei nostri litorali. Che si fa? Ci si tira su le maniche e si entra dignitosamente in un progetto che ha esaurito il tempo delle polemiche e deve attivare risorse d’impegno e attenzione alla sicurezza degli uomini, evitando prosaicità e qualunquismo: non danno la “michetta” a nessuno. Dunque, geografia europea alla mano e non perdiamo il treno, AlpTransit non aspetta e non ritarda!
Sissi la fresa TBM, Santa Barbara e la dottoressa Irene!
